Mercoledì 10 ottobre, dopo o risultati del primo turno delle elezioni presidenziali in Brasile, la Movida Zadig Brasile “Doces e Barbaros”, ha organizzato una serata di conversazione dal titolo “Psicoanalisi e Democrazia”. E’ stata redatta, in seguito a questa conversazione, la lettera aperta della EBP che potete leggere qui di seguito.
Lettera aperta della Scuola Brasiliana di Psicoanalisi in difesa della Democrazia
Manca qualche settimana al secondo turno delle elezioni che avranno un’incidenza sulle fondamenta della nostra Repubblica e che in un senso più radicale implicheranno una scelta tra l’odio o la democrazia, tra lo spirito della legge o una violenza senza freni. Nel vuoto di una crisi della politica rappresentativa e una perdita di fiducia nelle istituzioni, una parte significativa della popolazione brasiliana fa posto a un discorso di odio che inizia a proliferare nella scena sociale, portando in sé espressioni tipiche del fascismo, come l’intimidazione, il fanatismo e il terrore. L’instaurazione di questo discorso con tutta la sua virulenza nel legame sociale e nello spazio pubblico, implica una regressione senza precedenti, rispetto ai progressi che il regime democratico ha prodotto negli ultimi tre decenni in Brasile.
Questa vena autoritaria e dogmatica che spunta nella soggettività del nostro tempo richiede con urgenza una lettura e un’interpretazione.
La democrazia assume un rapporto diretto con la vita, perché, come la psicoanalisi ci insegna, è attraversata dagli eventi contingenti che segnano la storia politica di un popolo. Spetta a noi, psicoanalisti continuare a dare un posto alle parole e agli atti che onorano i nostri legami con la democrazia e con le libertà pubbliche. Questo è il motore del desiderio che questa lettera aperta sottoscrive, come conseguenza della parola e della presenza di numerosi membri della Scuola Brasiliana di Psicoanalisi che hanno partecipato alla Conversazione “Psicoanalisi e democrazia” promossa dalla Movida Zadig-Brasile/“Doces e Barbaros”. Una manifestazione in quanto Scuola, perciò, non può che venire dalla pratica della conversazione come atto politico e come conseguenza di un’elaborazione provocata, in questo momento di crisi.
Assumere la difesa della democrazia in questo grave e difficile momento della storia del nostro paese, esige di installare una base permanente di mobilitazione e dialogo con i gruppi illuminati della nostra società civile, attraverso la nostra Rete di Politica Lacaniana, La Movida Zadig-Brasile. Speriamo che nei prossimi giorni i movimenti e le forze politiche che trovano riparo nello spirito repubblicano più autentico, sappiano difendere e proteggere la democrazia. La Scuola Brasiliana di Psicoanalisi riafferma con veemenza la difesa di questi valori fondamentali e il suo ripudio di tutti i discorsi dell’odio che promuovono la rovina della società e della cultura e i cui risultati, la storia c’insegna, sono una spinta verso la catastrofe, verso il peggio.
Jesus Santiago (Responsabile della Movida Zadig- Brasile/ Doces e Barbaros)
Luciola Freitas de Macedo (Presidente dell’EBP)
Luiz Fernando Carrijo da Cunha (Direttore dell’EBP)
12.10.2018
Amore e odio per l’Europa – Forum di Milano, Febbraio 2019
L’Europa a cui vorremmo pensare è quella descritta da Stefan Zweig ne Il mondo di ieri, un luogo in cui si poteva vivere da cosmopoliti, perché “il mondo intero ci si spalancava davanti. Viaggiavamo dove volevamo senza permessi, senza che nessuno ci chiedesse conto delle nostre idee, della nostra origine, della razza, della religione”. E quando, dopo la guerra, per uscire dal paese per la prima volta gli venne chiesto il passaporto, fu per lui un’esperienza strana e sgradevole. A quel tempo non si era né filo-europeisti né euroscettici. Si era europei e basta, e fu la prima guerra mondiale a dissolvere l’Europa in cui Zweig, ma anche Freud, erano vissuti, e in cui la psicoanalisi era nata.
C’è stato un momento in cui in Italia la maggioranza era assolutamente filo-europeista. Essere accolti nella moneta unica, al tempo di Prodi, appariva come un punto d’orgoglio e, forse, l’identità europea militava contro quella italiana, sentita svilita ed espropriata da quella che poi si è chiamata la “casta”. Oggi l’umore anti-europeo è dominante, e ogni proclama sovranista, urlato in sovratono, alimenta un orgoglio nazionale le cui ferite non sono mai abbastanza lenite.
In Francia, nel maggio del 2005, un referendum boccia la Costituzione europea, seguìto a ruota dal veto olandese. Nel 2017 lo spirito anti-europeo dell’esagono si rovescia con la spettacolare passeggiata di Macron nel cortile del Louvre accompagnato dalle note dell’Inno alla gioia e con l’annuncio della speranza di una rinascita per l’Europa.
La Germania è sempre stata europeista a modo suo, in modo tale cioè da non compromettere i propri interessi e il proprio ruolo economicamente egemonico. La Grecia è in prima linea tra gli euroscettici, pur avendo dovuto accettare un salvataggio, bisogna dire, tutt’altro che gratuito.
La comunità europea nasce, in fondo, dal fallimento dei nazionalismi. Ma i nazionalismi rinascono oggi sotto la nuova stella del sovranismo.
I sentimenti degli europei sono ora contrastanti, e il senso di appartenenza è definito solo dalla moneta. Mancano a far legame quelle che si chiamano le dignified parts dell’istituzione, le componenti solenni, quelle che mobilitano i sentimenti e le passioni, e che sostengono l’identificazione.
Non possiamo tuttavia dire che siano mancate passioni in Europa, dal tempo della guerra dei Trent’anni alla caduta di Hitler, ma sono state piuttosto passioni distruttive, a parte la breve parentesi della Belle Epoque di cui ci racconta Zweig. Un’Unione fondata solo sulla moneta serve a esercitare la funzione di sterilizzarle, di sopirle, di dimenticarle in un passato elaborato solo in parte.
Senza il collante dell’ideale, che convoglia i sentimenti ambivalenti mettendo a profitto l’amore ed economizzando l’odio come energia trasformativa, le passioni tracimano, si scatenano incontrollate, creano correnti alternate, attriti, collisioni, incontri cercati e al tempo stesso rifuggiti. La psicoanalisi ci ha fatto conoscere il fenomeno che Freud chiamava ambivalenza, che Lacan ha chiamato hainamoration, amore e odio inestricabilmente fusi nello stessa colata lavica di sentimento. Conosciamo le passioni distruttive che la logica dell’ossessivo rivolge al proprio oggetto d’amore, ingabbiandole in un labirinto di pensieri in cui il soggetto stesso resta imprigionato o si smarrisce. Sappiamo come l’isterica tenda trappole all’oggetto amato togliendogli il tappeto sotto i piedi. Nei sintomi contemporanei mancano questi binari simbolici, mancano i labirinti e le trappole. L’odio e l’amore si manifestano senza argini, e fanno crescere paure sproporzionate accanto a speranze inaudite inevitabilmente gravide di delusione. L’Europa securitaria, populista, traversata da muri reali o ideali che vediamo oggi è figlia di queste paure e di queste delusioni, che si trasformano inevitabilmente in rabbia. Sappiamo cosa dice Lacan della rabbia: è il correlato del senso d’impotenza, quand les petites chevilles n’entrent pas dans les petits trous, quando i tasselli non s’infilano al posto giusto. L’Europa di oggi è un puzzle di tasselli che non si combinano tra loro. Possiamo amarla o odiarla, ma non possiamo smettere di costruirla, e con essa dar vita a uno spazio dove, con l’aiuto della psicoanalisi, il desiderio non si trasformi in una passione spenta.
Marco Focchi
L’Europe s’est construite sur l’échec de la violence et des nationalismes qui l’ont amenée au bord de la destruction naguère. Comme l’a bien montré Zaki Laïdi l’Europe a choisi la voie des normes, contre la voie de la force, la loi de la règle et du droit non pas contre les états souverains mais dans un dépassement de leur réalité. A l’heure de la crise mondiale on voit tout un mouvement, resté plus ou moins économiquement libéral mais qui veut détruire les contraintes les règles et les traités, et au-delà des pactes. Peut-on aimer la norme ? Voire les normes peuvent-elles être perçues comme autrement qu’ anonymes, désincarnées, étrangères, opprimantes ? Qui plus est la règle n’est pas la loi ! La loi à une histoire, des représentants, des figures, enfin elle se noue souvent à une puissance narrative, un storytelling le plus souvent national. S’il y a eu une narration de la construction Européenne elle s’est perdue dans sa marchandisation et dans l’oubli progressif des cataclysmes du XX ème siècle dont aujourd’hui on ne célébre plus que les armistices. Et je n’exclue pas ici l’histoire et la chute du bloc soviétique. Mais la norme implique aussi une forme de vie, une façon de vivre commune, de manger, d’habiter de consommer, c’est une culture mais une culture invisible.
Par ailleurs l’Europe est attaquée. Par le libéralisme débridé et sans normes, par les ennemis des lumières, lumières qui sont son vrai ADN, et de l’intérieur par les effets dévastateurs parfois de la mondialisation ultra libérale. Une partie de l’Europe a connu une désindustrialisation sans précédent qui en fermant les usines a aussi fragilisé une culture de gauche populaire plutôt internationaliste et solidaire. L’économie mondialisée produit la « France périphérique » où des catégories entières, dont les valeurs ne se calquent plus sur le statut économique, se retrouvent dans un sentiment d’exclusion du grand jeu mondial et européen. Le fossé entre les habitants des métropoles et ceux que les américains nomment « white without college education » se creusent. Exclus ne signifie plus nécessairement alors pauvres ou prolétaires. Cela ne signifie pas non plus que ces exclus soient passéistes. L’ubérisation de la société produit, par exemple, des travailleurs précaires isolés et concurrentiels qui pensent comme de petits patrons et votent plutôt pour des partis populistes. L’individualisation libérale de la société fait apparaitre toute contrainte, voire bien sûr, toute normes comme l’effet insupportables d’une culture des élites. Le populisme de gauche contemporain réfute l’économisme du marxisme pour fabriquer un néo peuple, voire un néo prolétariat fait de bric et de broc. Ce qui reste alors de la révolution c’est l’idée d’une dictature non prolétarienne. Plus à droite les partis sont dénoncés comme coupés du peuple et le vrai peuple se fabrique à travers des fictions d’épurations. Dans ce contexte l’État de droit devient suspect, les forces populistes critiquent un peu partout la justice, les médias, en France la police aussi. L’isolement dans le travail des travailleurs précaires se croise avec la fragilité des liens familiaux pour renforcer le rejet des autres et des solidarités. Ce rejet devient patent et affiché dans la xénophobie anti migrants. Mais de là on refuse celui qui vient d’un autre monde que ce soit les migrants ou les élites ! Ce n’est pas par hasard que les eurosceptiques se crispent sur les questions migratoires, il y a certes le refus des bateaux, mais aussi, bien sûr le refus des travailleurs européens et des capitalistes étrangers. Ce sont là des aliments pour la démocratie illibérale décrite il y a plus de dix ans par Fareed Zakaria dans son livre prémonitoire sur « l’avenir de la liberté ». Cet auteur montre bien que le libéralisme économique s’est séparé au XXI ème siècle du libéralisme politique. Libéralisme politique qui ne se suffit pas de la démocratie mais exige un état de droit et une société ouverte et des médiations. Aujourd’hui le numérique et les réseaux sociaux permettent à chacun pour le meilleur et pour le pire de constituer sa petite chapelle de pensée et bien souvent de haines dans une immédiateté. Tout les intermédiaires, presse ; médias, partis politiques, sont mis en crise tant sur le plan réel et économique que sur le plan symbolique ( Cf le Brésil !). Ce qui aboutit entres autres à ce que le protestantisme des EU et l’évangélisme se croise avec l’Islam qui ne supposent les uns et les autres aucun clergé. Il faudrait ici se demander comment « une partie du monde arabe a cessé de croire en l’occident » p 173 ( Zakaria). Mais ne pourrait-on dire que l’Amérique aussi du nord au sud commence à ne plus croire en l’occident ? Comme les européens ne croient plus autant en l’Europe, voire en eux-mêmes ? De même la critique ultra libérale de l’État ne vise, sur un autre front, qu’à l’affaiblir en tant que « welfare state ». Tout cela se traduit par le fameux refus du système, terme magique que Hitler maniait très bien… Ceci nécessite donc d’inventer aujourd’hui une autre Europe qui pense à 2050 plutôt qu’à 1950 ( Donc au climat !). Au moyen âge l’université à fait exister l’Europe, peut être serait ce à méditer, sous une forme, bien différente, laïque et renouvelée, dont ce Forum pourrait-être une amorce. Le danger qui vient dans la jeunesse, que ce soit celle des élites ou des exclus c’est de se tenir à un triste slogan de l’époque : « Plus rien à foutre ! ».
Philippe Lasagna
Resistenze della psicoanalisi
La situazione politica che l’Italia sta attraversando in questi ultimi anni conferma l’impressione che spesso ha dato di essere un vero e proprio “laboratorio politico” per l’Europa. La capacità leghista di costruire un nuovo immaginario
[i]sulla base di strategie discorsive spesso inedite; il passaggio, avvenuto con Bossi e con Berlusconi, da una
leadershiptradizionalmente incentrata sull’ideale del “salvatore”, che eroicamente guida le masse, al “maestro di godimento”
[ii]che col suo esempio diventa oggetto di captazione; fino alla trovata di Beppe Grillo, che ha coniugato la comicità attoriale con la critica qualunquista del giovanilismo tecnocratico. Tutti elementi che ci costringono a ripensare in chiave contemporanea la
Psicologia della massedi Freud. È così che possiamo arrivare anche a leggere la figura oggi incarnata da Salvini, non più attraverso l’identificazione con il
tratto unario, ma come inscrizione in una “politica degli affetti”
[iii]che gestisce la distribuzione del tracciato pulsionale nella cornice di una fantasma identitario.Da più parti si segnala con preoccupazione il possibile ritorno del fascismo in Italia. “Fascista” non è soltanto una categoria politica ma prima di tutto un aggettivo che ha un portato ben più ampio della realtà storica nella quale si è realizzato in Italia. Un fascismo eterno e non storico, di cui Roland Barthes ha descritto precisamente il funzionamento in apertura del suo corso al
Collège de France nel 1977: “La lingua è fascista non perché impedisce di dire ma perché al contrario obbliga a dire”. La presa di parola generalizzata che il populismo e i
socialoggi promuovono, in una comune deriva destinale, coinvolge direttamente il mandato politico della psicoanalisi. In fondo, in analisi, si è invitati a
dire qualsiasi cosaperché è così che si fa esistere l’Altro. Come sottolineava bene Jacques Derrida, per poter dire, al limite anche soltanto per poter domandare, bisogna sempre
aver già detto di sì all’Altro, bisogna aver risposto. È assumendo la responsabilità di questo
sì pre-originarioche si può far resistenza all’imperativo del fascismo contemporaneo, dalla demagogia populista all’epidemia dell’immaginario mediatico, che parla invece proprio per far tacere l’Altro, escludere ogni divisione interna alla parola, cancellare ogni destinatario e ogni destinazione. Se c’è un fantasma che oggi si aggira per l’Europa è proprio quello che alimenta quest’odio che punta a distruggere l’indirizzo della parola, impedendo che la lettera arrivi infine a destinazione e rendendo così impraticabile la psicoanalisi.L’Europa di cui parleremo a Milano il 16 febbraio nasce dall’esperienza della Resistenza. Il
Manifesto di Ventotene del 1941 si apriva con una disamina di quella “crisi della civiltà” che a noi oggi richiama il
disagiofreudiano. Ma, soprattutto, individuava nell’internazionalismo, erede del cosmopolitismo illuministico, l’unico orizzonte possibile per evitare le derive nazionalistiche che avevano portato l’Europa nella tragedia della Prima e della Seconda guerra mondiale. Nella crisi degli Stati nazione in cui ci troviamo, nell’epoca della globalizzazione e del capitalismo molecolare, ci sembra che quella lettura, dischiusa dall’assunzione lucida della crisi di civiltà, abbia ancora il merito di rintracciare al cuore dell’Europa la sua caratteristica cura per la divisione soggettiva in cui risuona l’enigma della verità.Di fronte a questo ritorno del
fascismo della lingua,la psicoanalisi è allora convocata non tanto per opporre la propria indignazione morale ma per leggerne il funzionamento e i meccanismi di presa sociale. Come già sottolineavano nel 1972 Deleuze e Foucault: “bisogna accettare di ascoltare il grido di Reich: no, le masse non sono state ingannate,
hanno desiderato il fascismo”
[iv]. Il lascito della Resistenza fa segno, per noi oggi, a ciò che nel soggetto resiste ripetendo in atto il fondamento, non saputo, del legame sociale.Secondo questa prospettiva, l’esperienza psicoanalitica non trova una possibile applicazione politica ma è, piuttosto, immediatamente esperienza politica. Come sottolineava già Lacan nel 1953, “La dialettica [dell’analisi] non è individuale e […] la questione del termine dell’analisi è quella del momento in cui la soddisfazione del soggetto trova di che realizzarsi nella soddisfazione di ciascuno, cioè tutti coloro che essa associa in un’opera umana”
[v]. Si tratta di ripensare oggi, al fondo della nostra idea di Europa, quella forma di legame sociale che il discorso psicoanalitico incarna.La psicoanalisi sa che noi siamo esseri parlanti e per questo fondamentalmente politici, ma anche ha il compito di ricordare che “non tutto è politico”. In questo senso, ripensare la
resistenzaa partire dalla psicoanalisi, e anche contro se stessa/i, significa sostenere e promuovere una politica del
non tutto, al di là dell’amore del padre, verso ciò che l’alterità femminile evoca e la figura dello straniero oggi incarna. “
Étrange– come affermava Lacan nel 1972 – è una parola scomponibile:
être-ange”
[vi]. Angeli di quel “non-nato” alle cui mute parole l’analista offre l’orecchio testimoniando della schisi tra straniero e arrivante, tra inconscio e corpo parlante. A partire dall’assunzione di questa schisi, la questione del termine dell’analisi fa tutt’uno con la forma di legame sociale che desideriamo per l’Europa a venire.
Matteo Bonazzi
[i] L’immaginario leghista. L’irruzione delle pulsioni nella politica contemporanea, a c. di M. Barenghi e M. Bonazzi, Quodlibet, Macerata 2012.
[ii] M. Bonazzi e F. Carmagnola, Il fantasma della libertà. Inconscio e politica al tempo di Berlusconi, Mimesis, Milano 2011.
[iii] E. Laurent, Il rovescio della biopolitica. Una scrittura per il godimento, Alpes, Roma 2017, p. XVI e pp. 154-162.
[iv] M. Foucault, G. Deleuze, “Gli intellettuali e il potere”, in M. Foucault, Il discorso, la storia, la verità, a cura di M. Bertani, Einaudi, Torino 2001, pp. 126-127.
[v] J. Lacan, “Funzione e campo della parola e del linguaggio”, in Scritti, Einaudi, Torino 2002, p. 315.
[vi] J. Lacan, Il Seminario. Libro XX. Ancora. 1972-73, a c. di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2011, p. 9.
Mi piace:
Mi piace Caricamento...