DIFFICOLTA’ RELAZIONALI
Difficoltà relazionali: nella coppia.
La questione dell’eguaglianza è sicuramente l’argomento che si ascolta maggiormente nello studio di un’analista e ha al suo seguito quello, più o meno mascherato, della rivendicazione. Rivendicazione di diritti, di riconoscimenti e così via E’ questo uno dei motivi per cui si lotta e ci si prodiga ampiamente, fino, a volte, a raggiungere questa tanto agognata eguaglianza tra i sessi. Poi, però, spesso, accade qualcosa di inatteso: ci si ritrova a riflettere su ciò che non funziona più: “siamo come fratello e sorella”. Si vede allora come la raggiunta eguaglianza non fa digerire meglio l’esaurirsi dell’amore.
Diamo qui due riferimenti.
Freud in uno scritto del 1905,[1] ha gettato luce sul modo in cui si articola la sessualità nel soggetto umano. Lacan, a sua volta, getta luce su quanto teorizzato da Freud e aggiunge che il rapporto sessuale, semplicemente, non esiste.[2]
E allora come fare coppia?
Perché ci sia un incontro che si possa trasformare in una relazione, e che questa possa forse anche durare, è necessario per l’uomo e per la donna aver chiara una cosa: la differenza radicale che li accomuna. Infatti, l’unico vero punto in comune tra l’uomo e la donna è proprio la radicale differenza tra loro.
E’ allora legittimo chiedersi che cosa può far sì che l’uomo e la donna stiano insieme pur sapendo che fra loro esiste una tale differenza.
La psicoanalisi argomenta la faccenda in questo modo: bisogna che ci siano uomini che accettino che ci siano donne e donne che sopportino che ci siano uomini e che entrambi convengano e riconoscano di essere radicalmente differenti. Questa dissimilitudine tra l’uomo e la donna si presenta sia sul versante del godimento, sia su quello del desiderio, sia nel modo in cui entrambi accostano la questione dell’amore.
La contingenza è ciò che fa da cornice a tutto questo. L’accettazione di questa diversità permette all’uomo e la donna di stare insieme. L’etica della psicoanalisi permette che questo incontro si realizzi.
Elda Perelli
[1] S. Freud, Tre saggi sulla sessualità, SFO, vol. 4, Bollati Boringhieri, Torino, 1989.
[2] J. Lacan (1972-1973), Il seminario. Libro XX, Ancora, Einaudi, Torino, 1983, p. 32.
Difficoltà relazionali: nella genitorialità.
“Amare è dare ciò che non si ha”, recita una frase di J. Lacan.
Di che si tratta? Questo dare per Lacan ha un statuto particolare. Dare cioè sul piano dell’essere (come siamo, la nostra particolarità, la nostra presenza, accettare la mancanza che il desiderio dell’Altro apre in noi) e non su quello dell’avere, (degli oggetti, per esempio).
Già Freud, più di un secolo fa, sosteneva l’esistenza di tre mestieri impossibili: governare, educare e psicoanalizzare. Per questa trilogia non esistono tecniche, ciò che può aver valore d’aiuto è abitare una dimensione etica.
A questo proposito nel seminario sull’Etica della psicoanalisi, Lacan dà prova del superamento della tecnica standard praticata dalla psicoanalisi fino all’epoca in cui egli apporta delle variazioni, si pensi alla seduta breve ancora oggi tanto discussa. In questo superamento Lacan mette in gioco il suo desiderio, non si tratta qui di trasgressione di un limite, ma della presenza di un limite che permette di accedere al desiderio. Questo per indicare un passaggio: dallo standard al singolare del desiderio.
Sembrerebbe un tema difficile non alla portata di tutti, proviamo a tradurlo.
Cosa succede se trasferiamo questo discorso in quello della cosiddetta educazione dei figli? La psicoanalisi non ama certamente gli educatori perché presuppongono un prontuario, un manuale dell’educazione. Educare non vuol dire ortopedizzare secondo dei rigidi criteri ma neanche lasciarsi trasportare dai sensi di colpa per qualche “no” detto in più. Purtroppo, non ci sono ricette né vademecum del buon genitore, né verità precostituite, guai se ci fossero, il risultato sarebbe un appiattimento delle singolarità di cui ogni soggetto è portatore. Amare un figlio significa permettergli di separarsi da noi, trasmettere che la vita è viva, è da vivere, da sperimentare, trasmettere un desiderio vitale. Più un genitore è legato all’ideale del bravo genitore, più incontrerà difficoltà nella crescita di un figlio e nella relazione genitore-figlio. Lasciar trapelare anche qualche fragilità e far passare che proprio tutto non si sa, che a volte non ci sono delle risposte per tutto, permette ai figli di misurarsi con una sana dimensione del limite e questo per un figlio, che sia adolescente, infante o pubere, è rincuorante, disangosciante, se non addirittura salvifico. Questo permette ai figli di trovare nel proprio cammino, le proprie risposte.
Un genitore dovrebbe essere presente, come agente delle cure e rendersi assente quando, per esempio, fa capolino l’adolescenza. Diciamo così, si tratta di una posizione di equilibrio tra una presenza-assenza, una presenza simbolica ed etica.
In fondo, entrambe, sia la psicoanalisi, sia la genitorialità, hanno a che fare con l’amore. L’amore di transfert, è un amore che si rivela attraverso l’ascolto della parola e attraverso la presenza in carne e ossa dell’analista. L’amore per i figli anch’esso si rivela con la presenza, le cure, l’ascolto e la parola. Il piccolo dell’uomo è da subito sensibile alla parola materna. Parlare al bambino è importante come ascoltarlo.
Difficoltà relazionali: nel sociale.
“L’Ottocento e il Novecento si riveleranno i secoli del razzismo istituzionalizzato. La modernità, insieme ai mutamenti positivi, è portatrice di sconvolgimenti negativi. Tra quelli positivi, troviamo la
“[…] riduzione delle disuguaglianze materiali (economiche) e morali (politiche, giuridiche, civili). […] Processi di individualizzazione e di emancipazione che coinvolgono soggetti precedentemente discriminati (in primo luogo ebrei, donne e lavoratori manuali); il formarsi di una coscienza diffusa dei diritti, che permette la strutturazione di movimenti di lotta (a cominciare dal movimento operaio e dal primo femminismo e, successivamente, dai movimenti di liberazione anticoloniale)”[1].
Questi aspetti positivi si uniscono alla caduta delle certezze che la società tradizionale assicurava, producendo un disorientamento di fronte ad un reale che induce la società a scivolare nell’insicurezza e nella paura. Tale timore sembra generato dall’incapacità di orientarsi in un mondo mutato, in cui le rotte tradizionali non sono più in grado di pianificare il percorso dell’uomo nella società. Tutti questi fattori uniti, generano una crisi che alimenta negli uomini la paura e un bisogno di certezze che spesso, per molti aspetti, può essere soddisfatto solo dalla costruzione di una nuova gerarchia e/o dalla creazione di un nemico comune al quale attribuire la responsabilità dei propri mali.
Jacques Lacan, psicoanalista francese, già nel 1973 aveva previsto un futuro incremento del razzismo proprio a causa del cambiamento sociale che si andava delineando in quegli anni. Egli aggiungeva[2] qualcosa in più a ciò che lo storico o il sociologo rilevano nelle loro ricerche socio-economiche o geopolitiche riguardanti l’ampia questione del razzismo. Oltre alle debite considerazioni storico-sociologiche Lacan era però dell’opinione che non tutto è spiegabile su questo piano. In un’articolo di J.-A. Miller, suo allievo, si legge:
“Il fatto però che si possa pensare di sentir dire qualcosa sul razzismo a partire dalla psicoanalisi denota quanto meno la sensazione che lo storico o il sociologo non bastano allo scopo, che spulciando le cause economiche, sociali e geo-politiche si può coprire un vasto campo del fenomeno, ma rimane egualmente qualcosa a far pensare che non tutto sia su questo piano, che c’è un resto che si potrebbe chiamare ‘le cause oscure del razzismo’”.[3]
Questo non tutto ha uno statuto di causa, di differenza, che risiede alla radice del problema, in particolare del razzismo nell’epoca della scienza, la quale, per sua natura tende a annullare le particolarità soggettive spingendole verso una completa omologazione”. [4]
[1] A. Burgio, Nonostante Auschwitz. Il ritorno del razzismo in Europa, DeriveApprodi, Roma, 2010, p. 19.
[2] J. Lacan, Radiofonia, Televisione, Einaudi, Torino, 1982.
[3] J.-A. Miller, Le cause oscure del razzismo, Lezione del corso Extimité, pronunciata dall’autore il 27 novembre 1985, pubblicata in Agalma n° 4, Rivista di ricerca psicanalitica, Milano, 1990.